Un tempo il cielo era il posto delle anime, del nibbio e delle divinità. Un vasto pubblico, ma niente a confronto dei 400 milioni di utenti dichiarati da Google Earth già nel 2008 e degli stormi di droni che alimentano i nostri social.
Alcuni sostengono che gli immensi geoglifi di Nazca siano stati disegnati dagli antichi peruviani per comunicare con gli extraterrestri, altri dicono con i posteri.
Proprio ai posteri, eredi della superficie terrestre e che la sorvoleranno in futuro, è nobile pensare. Ma come comunicare con loro dando l’impressione d’averlo fatto apposta?
Lasciare un segno volontario che sia apprezzabile dall’alto sembra corretto, o almeno istintivo: lassù, se non ci sono veri occhi, c’è il futuro, gli occhi elettronici degli aerei e dei satelliti.
La nostra odierna intenzione risulterà chiara e ricca di poetica comunicazione, se quando modifichiamo il paesaggio con segni e costruzioni ci chiediamo: com’è, visto dall’alto?
Duemila e cinquecento anni fa i Nazca hanno lasciato su un’area desertica del Perù i grandi disegni (i segni lasciati sul suolo si chiamano geoglifi) dando il via a questa che poi è diventata una moda: ci sono geoglifi un po’ in tutto il Sudamerica e in altre parti del mondo. Li abbiamo scoperti solo cent’anni fa, con i primi aeroplani.
Per fortuna oggi si progetta sempre più tenendo conto della vista dall’alto di fabbricati, giardini e intere aree: la vista azimutale rivela certamente il grado di integrazione dei fabbricati con il paesaggio. Ma quello che sembrerebbe più interessante è la soddisfazione quasi inconsapevole di sapere che ci si muove in uno spazio, in una casa, in una proprietà, che ha anche una faccia rivolta verso l’alto. O no?