Design is fine

IL TEMPO ARTIGIANO DEL DESIGN

DI DANIELA DIRCEO

“Il rapporto tra design e artigianato è come un fiume carsico: nelle profondità scorre e agisce, anche se rimane invisibile”. Giulio Iacchetti, designer di fama internazionale, è da sempre attento all’evoluzione del rapporto tra realtà artigiana e design.

Ne è l’esempio Internoitaliano, fabbrica diffusa fatta di laboratori artigiani con i quali firma e produce arredi e complementi ispirati al fare e all’abitare italiano. O Tempo artigiano, progetto in collaborazione con il Comune di Sarule e la Fondazione Nivola per innovare oggetti della tradizione della tessitura e della lavorazione del ferro sardi rivisitati in chiave moderna da commercializzare anche fuori dall’isola.

Iacchetti, che è lombardo, ha un rapporto speciale con la Sardegna.

 

“Sono da sempre stato attratto dall’artigianato, anche come mia fonte di ispirazione. Il punto di svolta però è stato nel 2008, quando fui invitato, insieme a ad altri designer “continentali”, all’ultima biennale dell’artigianato sardo voluta dall’allora governatore Soru. In quell’occasione, in affiancamento ad alcuni artigiani locali, disegnai una famiglia di coltelli e delle ceramiche. Fu allora che conobbi Fertilia, una delle città di fondazione realizzate durante il fascismo: oggi una borgata dalla forte personalità urbanistica. Ne rimasi stregato e capii subito che prima o poi quel luogo avrebbe fatto parte della mia vita”.

Casa di Giulio Iacchetti a Fertilia – ph Max Rommel

 

E così è stato. A Fertilia ormai Iacchetti e la sua famiglia sono di casa: lasciano Milano per Fertilia appena possono e vi trascorrono tutte le estati con i nonni, gli amici.  “Per noi Fertilia non è la classica casa di vacanza ma è una casa vera: non passeggera ma consistente”.

 

“Una volta stabilitomi, il mio primo interesse è stato di creare rapporti con gli artigiani locali. Importante l’incontro con Diego Moretti di Ebanisteria Meccanica, un giovane e abilissimo artigiano. Ne è nata l’idea di lavorare insieme, ognuno portatore dei propri valori: lato mio l’aspetto progettuale, con un’idea di design internazionale; per Diego una sapienza artigiana davvero notevole. Insieme abbiamo iniziato a generare nuove icone e abbiamo proseguito lavorando con altre realtà locali, seguendo un format di mia ideazione, “Tempo artigiano”. Questo progetto l’anno scorso mi ha portato a Sarule, vicino alla Barbagia, dove ho realizzato un laboratorio con diversi artigiani del posto, tra cui le signore tessitrici di tappeti al telaio verticale. Molti di questi manufatti oggi sono esposti al Padiglione Tavolara di Sassari, la mostra sull’artigianato contemporaneo sardo: un altro tassello che mi lega sempre di più all’isola”.

 

Fulmine, design Giulio Iacchetti per Ebanisteria Meccanica – foto Gaia Anselmi Tamburini

 

 

Un artigianato vivo, di cui si è visto tanto anche al recente Salone del Mobile. Quali sono le caratteristiche che ne permettono una rilettura contemporanea così immediata e contigua?

Per prima cosa, ritengo che l’artigianato sardo sia l’unico nel nostro paese a comprendere tutto lo scibile produttivo: si va dai tappeti ai tessuti, dalla lavorazione del metallo a quella del legno, passando per la ceramica e i gioielli. Il livello di aggregazione potentissimo che ha con la nostra contemporaneità dipende sicuramente da una simbologia, una qualità e un’originalità di materiali impiegati indiscusse, ma non dobbiamo dimenticare che c’è stata l’opera di un gigante, Eugenio Tavolara. Con il lavoro fatto con I.S.O.L.A., questo artista e designer ha permesso all’artigianato sardo di uscire da una dimensione prettamente pratica e funzionale per assurgere a vera e propria forma d’arte popolare. L’insegnamento che portiamo da questa esperienza è che l’artigianato se è vivo si rinnova: l’artigianato sardo, grazie al lavoro di Tavolara, ha saputo reinventarsi e aggiornarsi, senza mai perdere di vista i suoi contenuti ideologici e stilistici. C’è stata una sorta di operazione di traduzione, un portare oltre questi valori: l’artigianalità vive nel cambiamento. Oggi siamo di fronte ad una realtà molto attiva, fatta di anche di giovani che credono nel loro lavoro e nel senso di appartenenza come espressione vitale dell’essere sardi e del vivere in quei territori.

 

Boes – design Giulio Iacchetti per Ebanisteria Meccanica

 

 

E quindi dal designer internazionale Iacchetti e l’identità isolana quale sintesi scaturisce?

La sintesi è introdurre innovazione in una realtà già così consolidata. Faccio qualche esempio. Per Ebanisteria Meccanica abbiamo sviluppato uno specchio d’arredo che ricorda le forme della testa del toro, un chiaro rimando ai valori animali simbolici della Sardegna, rivisitato. Sempre con Ebanisteria abbiamo realizzato altri oggetti, come il cavalluccio con le ruote per i bambini, Fulmine: in questo caso abbiamo dato vita ad un gioco, che però si ispira alla grande tradizione equestre e all’amore che i sardi hanno per i cavalli e per il cavalcare.

Per la Biennale sarda del 2008 ho elaborato una nuova forma di coltello arburese, meno conosciuto rispetto al coltello tipico di Pattada, restituendo il disegno di un coltello per uso domestico che trae ispirazione dalle forme robuste dello strumento utilizzato abitualmente dai pastori. L’operazione che ho attuato è stata quindi di estrapolare un elemento da una realtà nobile e rispettabile come quella della pastorizia e dotarlo di un aggancio che lo rendesse comprensibile per una maggior diffusione. Tradurre quelle forme e quelle ispirazioni per degli usi più consueti.

I coltelli Arburesi disegnati da Giulio Iacchetti

 

 

 

Ma oggetti così caratterizzati seppur declinati in chiave contemporanea, possono trovarsi a loro agio all’interno delle case del mondo?

Credo che questo non sia più un tema. Abbiamo invece bisogno nelle nostre case, sempre più predisposte ad accogliere espressioni territoriali diverse, di autenticità locale. Non si tratta di oggetti folkloristici o naif, ma portatori di segni carichi di significati. Un tappeto sardo da sempre può essere introdotto in un arredo contemporaneo di qualsiasi luogo al mondo e funzionare benissimo. Il vero tema invece è che non tutti lo conoscono: il lavoro necessario è principalmente da indirizzare verso la comunicazione, perché il giacimento di cose che già esistono e che vengono fatte con arte c’è ed è importante. Da anni ci viene in aiuto la Rete che rende visibili e disponibili questi oggetti per tutti.

 

In conclusione, ritiene quindi che questa vicinanza alla cultura artigianale possa giovare anche al mondo della produzione?

Penso che ritornare a quella dimensione di progetto sia rigenerante per tutti: sia per l’artigiano che ha bisogno di nuove idee, perché la tradizione non basta, bisogna andare oltre, che per il designer stesso, che vede una perfetta collimazione tra il suo sogno, il suo interesse per dare vita ad un oggetto e vederlo immediatamente realizzato. E anche la sfera produttiva ne può trarre indiscusso giovamento: superare il rapporto mediato da molti fattori quali il marketing, il commerciale, pur necessari ma che allontanano l’idea dalla sua realizzazione immediata.

Credo fermamente che la vicinanza dell’artigianato sia strategica per il mondo produttivo attuale, per la generazione di nuovi prodotti, che attingano al patrimonio mirabile delle lavorazioni storiche tradizionali, sapienza manuale e deposito di sapere potentissimo. È un’istanza assoluta a cui io credo da sempre e in modo particolare negli ultimi anni.

 

 

Marvis Holder, recente progetto di Giulio Iacchetti